LB
Vedo il mio scheletro gettato fuori dalla navicella. Devo essere morto durante la navigazione. Mi hanno essiccato e spogliato della pelle e della carne con qualche procedimento in vigore secondo il codice di navigazione interspaziale. Spietato ma efficace, come usava tra marinai, ai bei tempi. Lo scheletro scivola danzando dal condotto finto legno (quanta accuratezza da parte dei progettisti per questa estrema evenienza). Mi allontano piano, lento. Non ci sono finestre in questo ammasso di ferro gelido. Posso solo pensare che qualcuno – oltre a me – assista al mio ultimo viaggio. Lunghissimo. Quando l’assenza di gravità e i venti solari porteranno le ossa a staccarsi l’una dall’altra, le cartilagini a perdere aderenza. Un movimento impercettibile, estenuante, come quello di una supernova che esplode. Un corpo che si disgrega e pure nell’attimo in cui perde la sua unitarietà per anni e anni è ancora individuabile come figura intera. Fino ad allargarsi, fino a diventare uno scheletro cicccione che copre porzioni sempre maggiori di universo tenendo fede aureamente alle distanze originarie tra gli arti: la mano dalla gamba, le costole tra di loro a formare un enorme torace. Che c’ho dei principi io
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